Fregna e figa: La bella Daniela

lunedì 2 novembre 2009

La bella Daniela

Conobbi Daniela alla cassa del supermercato, può sembrare banale, ma fu così. Spiccava alla cassa in quella sua divisa verde e quella matassa riccioluta di capelli naturalmente rosso fuoco, non carota. Sono sempre stato affascinato dallle donne coi capellli rossi, dalla loro pellle candida, dal loro odore, dai loro capezzoli rosati….
La prima volta che ci vedemmo scambiammo un paio di battute, poi tornai nei giorni a seguire in orari variabili, aspettando di trovarla in attesa di clienti. Faccio un lavoro in proprio che mi permette di avere, per fortuna, orari flessibili, un po’ di tempo libero e un giusto livello di agiatezza che non guasta mai. Sono allla soglia dei quaranta, ben portati, capelli neri appena spruzzati di argento sulle tempie, fisico né magro né grasso, non palestrato ma tonico.
Lei era lì, che si attorcigliava una ciocca di capelli rigirandosela attorno al dito, aveva mani ben curate con uno smalto chiaro sulle unghie, sulla bocca carnosa e scolpita un filo di rossetto rosa e brillantini e dei bellissimi occhi verde acqua contornati da un ombretto leggero. Presi dagli scaffali un paio di bottiglie di Greco di tufo, mi feci incartare mezzo chilo di mazzancolle freschissime e mi presentai da lei. Cominciavamo ad avere un po’ di confidenza, ed io avevo deciso di sferrare l’attacco.
“Seratina particolare eh?” fece lei passando gli articoli sul lettore
“Spero di passarla con una persona speciale… tu che fai stasera?” le chiesi e la guardai coi miei occhi verdi e penetranti in quei suoi smeraldi.
Sulle prime rimase come interdetta ed un velo di porpora le comparve sul viso chiaro, ma sostenne il mio sguardo.
“Stacco alle 20” fu la sua risposta.
“Ho una Saab cabrio rossa” conclusi, pagai e salutando uscii.
Stava tramontando quando la vidi uscire dalla porta di servizio in tutto il suo splendore; alta circa 1 metro e 70 aveva un fisico longilineo con curve giuste al posto giusto, dimostrava circa 30 anni e mi venne incontro ancheggiando leggermente. Le aprii lo sportello e partimmo.
Mentre viagggiavamo verso casa ed il rombo del motore si sentiva appena mescolandosi al fruscio dell’aria, quando potevo mi giravo a guardarla in volto trovandola ogni volta più bella via via che il tramonto le indorava il viso coprendole di luce rossa le efelidi. Mi arrivavano a tratti folate di quel suo profumo agrumato e fresco. Si tolse un sandaletto col tacco e appoggiò un piedino sinuoso e curatissimo sul cruscotto sgranando leggermente le dita. Rimasi ammirato ed estasiato da quella visione perché io adoro i piedi femminili belli e ben curati, ho sempre avuto un rapporto viscerale di passione, pur non essendo un feticista. Se lei se ne accorse non me lo diede a vedere, mi sorrise e mi chiese che intenzioni avessi. Le risposi che volevo solo fare una cenetta con lei, tranquilli tranquilli. Lei mi guardò e, sorridendo, mise in mostra una dentatura perfetta e bianchissima e si ravviò i capelli riccioluti.
Parcheggiai nel vialetto di casa. Rimase piacevolmente colpita dal gusto sobrio ma elegante con cui avevo arredato. La feci accomodare in sala da pranzo dove scintillava centrale una cucina d’acciaio con una grossa cappa aspirante. “Bello!” fece lei e si sedette gettandosi sul divano coperto di cuscini sprofondandovi dentro. Si tolse i sandalini e li gettò lontano. Mi venne incontro scalza sul parquet e mi chiese: “Che si mangia?” “Lo dovresti sapere” le risposi io e accesi la griglia. Tirai fuori dal frigo gli antipasti che avevo preparato e la invitai a sedersi a tavola. Cossi le mazzancolle e le serii bollenti accompagnate dal vino freddo, mangiammo e bevemmo, forse troppo, chiaccherando piacevolmente del più e del meno, venni a sapere che adorava i gatti, i cavalli e viaggiare, che viveva ancora coi suoi e che era single da poco. Più che calava il vino e più che si scioglieva la lingua, più che gli sguardi diventavano languidi e carichi di sottintesi. Finimmo di cenare, sparecchiai in modo buffo facendola ridere e ci avvicinammo al camino acceso che crepitava allegro. Ridemmo ebbri di non so più cosa, poi tra noi calò un silenzio surreale. La guardai; il riverbero delle fiamme la coloriva, se mai ne avesse avuto bisogno e rendeva i suoi occhi quasi scuri e profondi, le labbra più carnose. Aveva un’aria da animale selvaggio, un felino che non seppi riconoscere. Il suo sguardo si fece più intenso “Leccamela” disse e si mise a pancia in su scoprendo l’ombelico su cui brillava un piercing d’acciaio. Io la guardai interdetto e voglioso “Leccamela, non è questo che vuoi?” mi chiese lei maliziosa tirandosi su la gonna e scostandosi le mutandine.
Rimasi a torso nudo e la raggiunsi carponi, mi fermai ad osservarla, l’aveva rasata con un piccolo triangolino rosso sopra la clitoride. Le strappai di dosso mutandine e gonna, incominciai a leccarle l’interno coscia, lentamente, sentendo i muscoli guizzarle sotto la pelle liscia e fresca, poi, finalmente, arrivai alle grandi labbra, gliele morsi e gliele succhiai, aprendole con la lingua per assaporarne il miele saporoso che le grondava. Alzai gli occhi e vidi che si stava toccando i seni, pieni e polposi, bianchi come il latte sormontati di i capezzoli rosa piccoli e turgidi. “Continua, non ti fermare” mi disse ansimando. Cominciai ad assaporare la clitoride prima lentamente gustandomi ogni spasimo del suo corpo, poi sempre più veloce. Cominciai ad introdurle lentamente un dito dentro e la trovai calda e accogliente. Lo muovevo a destra e a sinistra sentendo la sua superficie spugnosa caricarsi di umori che bevevo avidamente. Quando le dita divennero due, i gemiti diventarono urla, si contrasse ed esplose venendomi in bocca ed in faccia. La leccai ancora, poi le tolsi lentamente le dita e le aprii la fica allargandole le labbra, era rossa e pulsante. Lei si rialzò, non disse una parola e mi spise con la schiena a terra. Mi spogliò, mi allargò le cosce con le mani e cominciò a baciarmi ora il pube, ora le palle, ora il forellino bruno.
Poi calò vorace sul mio cazzo ritto e caldo. Me lo avvolse in un calore maggiore, leccandomi prima il glande, poi ingoiandolo fino a metà. Le misi una mano sopra alla testa e la spinsi fino in fondo. Lei fece un getto di saliva che mi bagnò le palle. Prese a massaggiarmele mentre affondava la bocca sul cazzo. Io ero scosso da brividi di piacere e cercavo di ritardare l’orgasmo il più possibile. Mi guardò col cazzo in bocca e sentii un dito bagnato della sua saliva penetrarmi nel culo, lento ma deciso. Al momento cercai di stringerlo ma fu inutile. Sempre guardandomi prese a solleticarmi la prostata. Fu allora che venni con tutte le mie forze. Le riempii la bocca di seme caldo e denso, mentre mi stava massaggiando i testicoli. Bevve quello che potè e leccò il restante che mi aveva coperto il pube. Smise quando mi ammosciai del tutto. Col cuore che batteva all’impazzata ci baciammo, poi mi chiese di riaccompagnarla a casa e così feci. Durante il viaggio di ritorno non dicemmo niente, cullati dal rumore dell’auto. Ci scambiammo i numeri di telefoni riproponendoci di vedersi quanto prima e così facemmo.

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